Si è chiusa “La ricerca dell’invisibile” mostra del maestro Sergio Gotti che per due mesi ha animato l’Area Archeologica delle SS. Stimmate
Velletri (Rm) – Per l’occasione la redazione ha voluto ascoltare direttamente le parole del maestro per scavare nella sua opera e capirne le ragioni e i moti che la animano.
Per prima cosa abbiamo voluto sapere della scelta del luogo nel quale è stata allestita la mostra.
Perché proprio L’area Archeologica delle SS. Stimmate?
“Era il 2017 quando l’area archeologica venne inaugurata e già dall’ora balenò nella mia mente l’idea di installarvi una mostra. Quindi, nonostante la pandemia e nonostante il tema dietro le opere non fosse direttamente legato al luogo, decisi comunque di sfruttare lo spazio come atelier.
Dopo le dovute richieste al museo e alla sovrintendenza ecco perciò l’opera finita. Grazie anche alla curatrice Silvia Sfregola Romani, sia per una questione cromatica che di grandezza, le opere sono state inserite senza che abbiano minimamente turbato l’estetica e la bellezza della struttura, anzi, le hanno forse addirittura donato qualcosa in più. L’ equilibrio fa si che le opere esaltino l’ambiente e l’ambiente esalti l’opera d’arte. Di ciò ne è ultima magica testimonianza un fatto cauale: nelle più tarde ore del pomeriggio, i raggi solari penetrano le mura vitree della struttura e rimbalzando su di un’opera rivestita di fogli di alluminio, si proiettano su tutto l’interno della struttura e sulle altre opere”
Perché le opere sono fatte di cartone?
“Ho lavorato con tanti materiali in 40 anni d’arte; avevo bisogno di un materiale povero, bistrattato, un materiale usato per tutto tranne che per l’arte.
Per questo motivo ho iniziato una ricerca col fine di restituire dignità ad un materiale povero e soprattutto legare l’arte ad un discorso ambientalista, sociale ed etico. L’opera dell’albero con i bambini robot intorno vuole infatti dimostrare ai bambini l’alienazione che può provocare la tecnologia. E’ importante creare cose con le mani, socializzare e non isolarsi nella tecnologia che ha utilissimi fini solo quando si riconosce il limite del suo uso.”
Quale è il tema principale delle opere?
“La maggiore parte delle opere si basa sulle “Città invisibili” di Italo Calvino, da qui il nome della mostra. L’invisibile che prende forma e si manifesta ad esempio nella città di Bauci: narrata da Calvino, essa sta sospesa, completamente autosufficiente, per aria, sorretta solo da sottilissimi pali che si generano dal suolo terreste. Ad abitare tale città vi sono degli umani, rappresentati da un volto che si confonde con la struttura. Questi non osano scendere a terra per il reverenziale rispetto che hanno di quest’ultima e dunque la osservano dall’alto, intervenendo solo per risolvere eventuali problemi che l’affliggano.”
Come ha risposto il pubblico?
“Sono passate migliaia di persone tanto che è stata necessaria la proroga della mostra sino al 2 luglio. Tantissime anche le scuole che entusiaste per il lavoro, una volta uscite, hanno cominciato a leggere Italo Calvino. I bambini hanno recepito perfettamente il messaggio e hanno realizzato delle opere a tema, opere che sono state poi esposte nello stesso spazio della mostra. Sono rimasto spiazzato dai i commenti bellissimi e dalle persone, tornate anche più di una volta”.
La tensione verso il movimento è fortissima e costante in tutte le opere. Ognuna di esse conserva, nella sua struttura più semplice, una serie di ingranaggi che offrono un senso di dinamismo tale che porta, complice forse anche il luogo, l’anima a sentirsi più leggera, sospesa in uno spazio tempo lontano, ma attuale, sereno ma a tratti malinconico.
Lo stesso dinamismo che in fine accompagna l’occhio dello spettatore direttamente verso l’opera Icaro Aviatore che poderoso sta per spiccare un volo liberatorio verso un’altra dimensione spazio temporale. Ma non è un Icaro normale bensì un Icaro fanciullo, con i calzoni e le bretelle; solo un bambino di fatti, scevro dalla razionalità degli adulti, può compiere simile viaggio